L’inceneritore di Scarlino inquina troppo

di Silvia Marzialetti
29 Dicembre 2017

(Imagoeconomica)

Un consistente livello di esposizione a diossine altri inquinanti, che non è stato valutato e considerato adeguatamente in sede di rilascio dell’Autorizzazione integrata ambientale. La Cassazione – a sezioni unite – mette la pietra tombale sul contestatissimo inceneritore di Scarlino, oggetto di ricorsi e controricorsi dal 2009, quando la Provincia di Grosseto ha approvato il progetto di ammodernamento della centrale elettrica attraverso la riconversione a biomasse e combustibile ricavato dai rifiuti, presentato dalla società Scarlino Energia srl.La sentenza 31240 depositata ieri (29 dicembre) condivide punto per punto la linea del Consiglio di Stato che già nel 2015 aveva accolto tutti gli appelli presentati dal Comune di Follonica e dalle associazioni ambientaliste, Wwf in testa. Con la salute delle persone non si scherza e la Suprema Corte – come già d’altronde lo era stato Palazzo Spada – è tranchant: «Per il rilascio dell’Aia sarebbe stata necessaria una specifica attività istruttoria in ordine agli effettivi agenti inquinanti già presenti e alla potenziale incidenza che su di essi si sarebbe potuta riscontrare a seguito dello svolgimento dell’attività».

Il riferimento dei giudici è alla attività industriale che da tempo interessa l’area e contro cui gli ambientalisti hanno ingaggiato una crociata ultradecennale. Gli atti acquisiti nel corso dell’istruttoria (relazione del Comune di Follonica e della Asl risalenti al 2012, entrambi più recenti e documentati di quella presentata dalla ricorrente nel 2007) hanno rivelato un consistente livello di esposizione della popolazione agli agenti inquinanti. Tanto da indurre Consiglio di Stato a richiamare il fondamentale articolo 32 della Costituzione, che riconosce quello alla salute un diritto primario.

La battaglia legale della Scarlino Energia si è pervicacemente fondata sul tentativo di invocare il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo e sulla richiesta – respinta – di dirottare il caso sul Tribunale superiore della acque pubbliche, facendo leva sul fatto che il provvedimento impugnato prevedesse lo scarico nel canale Solmine. Ma i giudici di Piazza Cavour ribadiscono il consolidato principio giurisprudenziale che circoscrive la giurisdizione del Tribunale delle acque ai soli provvedimenti che abbiano incidenza diretta sulle acque pubbliche (e non è questo il caso).

Un frazionamento della competenza giurisdizionale – argomentano poi i giudici – confliggerebbe con il principio di ragionevolezza e di efficienza e funzionalità del sistema processuale, dal momento che l’Autorizzazione integrata ambientale presuppone – già per definizione – un tipo di controllo complessivo, e non più settoriale, come accadeva prima del 1996.

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