Inceneritori svedesi, un toccasana per la salute?

In un nostro articolo precedente abbiamo già visto come la vulgata che vede i paesi Scandinavi come degli esempi da seguire sia molto discutibile, per lo meno quando si parla di gestione dei rifiuti e economia circolare; una tesi complementare è quella secondo cui gli impianti dei suddetti paesi, essendo all’avanguardia, costituirebbero un rischio minimo per la salute delle persone.

Anche questa tesi, portata avanti spesso da chi ha interessi più al proprio portafogli che alla salute della collettività, è smentita dall’evidenza scientifica; un lampante esempio è un articolo uscito nel 2007 sulla rivista scientifica X-Ray Spectrometry da parte di un gruppo di ricercatori di università svedesi e danesi, che riguarda l’emissione di particolato fine (PM 2.5) in una città della Svezia meridionale e l’identificazione delle sue fonti principali.

Come premessa va sempre ricordato che il PM 2.5, detto particolato fine, è stato oggetto di numerosi studi che ne hanno certificato gli effetti deleteri sulla salute ormai da vari anni; a titolo di esempio, l’UE calcola in circa 400.000 il numero di morti premature annuale attribuibili al PM 2.5 nei 28 paesi che ne fanno parte (si veda l’ultimo report europeo sulla qualità dell’aria disponibile qui); conclusioni analoghe vengono anche da oltre oceano, dove una recentissima ricerca dell’Università di Harvard pubblicata nel 2017 sul New England Journal of Medicine certifica che “incrementi di 10 microgrammi/mc nel PM 2.5 e di 10 ppb nell’ozono sono associati a incrementi in tutte le cause di mortalità del 7.3%….in tutta la popolazione ci sono evidenze significative di effetti avversi per esposizione a PM 2.5 e ozono anche al di sotto dei limiti standard di legge”; in poche parole qualsiasi fonte comporti un aumento significativo del particolato fine, costituisce un pericolo molto grave per la salute di tutti.

La città oggetto dello studio è quella di Boras, nella svezia sud occidentale; di medie dimensioni, con circa 100.000 mila abitanti, è caratterizzata dalla presenza di piccole-medie imprese; lo scopo dello studio era quello di stimare il contributo del locale inceneritore, un impianto moderno a letto fluido, nella produzione di particolato PM 2.5 in confronto a quella di altre fonti localizzabili nella zona; proprio per questo, il luogo dove l’aria è stata campionata è situato in posizione intermedia rispetto alle maggiori attività situate nella zona.

I campionamenti furono effettuati dal 27 luglio al 23 agosto 2005, attraverso un campionatore che raccoglieva le particelle di PM 2.5 in filtri di teflon cambiati ogni 24 ore; questi filtri venivano poi analizzati per misurare la massa delle PM 2.5 e al loro interno le concentrazioni di particolato di carbonio (Black Carbon), un elemento classificato come “probabilmente cancerogeno”, e di altri 17 elementi chimici, tramite lo spettrometro a raggi x a fluorescenza che è quello menzionato nel titolo dello studio; le statistiche descrittive sono quelle contenute in tabella 2:

Si è poi utilizzata la tecnica statistica dell’Analisi per Componenti Principali, la quale riesce a sintetizzare un numero elevato di variabili (in questo caso 19, quelle riportate in tabella) tramite la loro correlazione, in un numero minore di macro variabili (dette “fattori”); in questo caso l’analisi ha individuato 5 fattori che sono stati interpretati come le fonti di origine del particolato relativo; ad esempio nei campioni è stata notata una notevole correlazione tra Vanadio e Nichel e sapendo che questi elementi si ritrovano spesso come derivati della combustione del petrolio nelle raffinerie (“Oil incineration”), essi hanno caratterizzato questa fonte; per le biomasse il potassio e lo zinco e così via; le 5 fonti sono state così identificate come incenerimento dei rifiuti (caratterizzato prevalentemente da metalli come il piombo), combustione di petrolio da raffineria, combustione di biomassa, traffico di lunga distanza (caratterizzato dallo zolfo) e traffico ordinario (ferro e rame); si sono così calcolate le percentuali di contribuzione di ogni fonte al totale delle PM 2.5 campionate; questo è stato fatto sia utilizzando le 19 variabili di partenza che scendendo di numero e considerando via via le variabili più significative in termini di associazione con le fonti riportate, passando a 14, 8 e infine 6; il risultato è illustrato in tabella 4:

 

Le conclusioni sono chiare: il contributo al totale delle PM 2.5 campionate portato dall’inceneritore varia dal 17 al 32%, non certo una misura trascurabile; in particolare è in ogni caso superiore a quello del traffico ordinario e all’incenerimento di biomassa; questo smentisce clamorosamente tutti coloro che sostengono che le emissioni degli inceneritori moderni sono assolutamente trascurabili se paragonate al traffico.

Considerazioni simili possono farsi sull’altro noto inquinante emesso dagli inceneritori, ovvero la diossina, e ne è prova una simulazione effettuata dal prof Federico Valerio sul progetto di termovalorizzatore a Genova, che vedeva come anche nell’ipotesi di concentrazione minima di diossina emessa al camino (8 picogrammi/mc), nel volume giornaliero totale essa superasse di 7 volte quella emessa dal traffico automobilistico; questo perché è ben noto come i limiti di legge (nel caso della diossina pari a 100 picogrammi/mc, secondo le normative europee) sono soltanto dei limiti tecnici, ovverosia quelli permessi dalle migliori tecnologie disponibili (BAT) a costi sostenibili, ma che essendo dei limiti in concentrazione, non tengono conto ovviamente dei grandi volumi di fumi emessi dai moderni inceneritori, nel caso in questione 5 milioni di metri cubi al giorno; ricordiamo poi come per il particolato e l’ozono non esistono soglie al di sotto delle quali la salute è assicurata, come l’OMS ha già dichiarato.

Occhio allora: quando sentirete le paroline magiche “tecnologia scandinava” o “è peggio il traffico di un inceneritore moderno” il consiglio è: una mano per tapparsi l’orecchio e l’altra alla fondina !

 

 

 

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