Un caso di scuola: lo studio epidemiologico sull’inceneritore di San Zeno (AR)

Nella foltissima schiera degli studi epidemiologici sull’impatto degli inceneritori sulla salute umana, un caso veramente molto interessante sotto diversi punti di vista è quello del recentissimo lavoro pubblicato sulla rivista scientifica Epidemiologia & Prevenzione nel 2016 riguardante la mortalità e i ricoveri nei pressi dell’inceneritore di San Zeno in provincia di Arezzo, disponibile qui; una sua disamina ci permette di comprendere quelle che sono le caratteristiche essenziali di un moderno studio epidemiologico e di fare alcune osservazioni interessanti.

L’inceneritore in questione, appartenente alla società pubblica AISA spa, svolge il servizio di smaltimento dei rifiuti urbani e assimilati del bacino aretino, con recupero di energia elettrica; l’impianto è attivo dal 2000 e brucia circa 40.000 ton l’anno immettendo nella rete elettrica 10.000 MWH l’anno; un impianto quindi di dimensioni assai modeste se paragonato con altri come quello di Brescia (più di 700.000 tonnellate incenerite nel 2016) ma sicuramente anche rispetto a quello prospettato da KME che dovrebbe andare a trattare 100-120.000 ton di scarto di pulper all’umido prodotto dal distretto cartario lucchese e producendo 10-12 MW di energia elettrica, quindi più di 85.000 MWH l’anno.

L’inceneritore di San Zeno dal punto di vista ambientale e delle norme di legge è sicuramente il prototipo ideale, diremmo con termine caro all’AD di KME “scandinavo” da questo punto di vista: esso infatti adotta le BAT (best available techniques), ha ottenuto le certificazioni ISO-9001 e ISO-14001, le emissioni di inquinanti sono monitorate in continuo, con analisi dei fumi fatta almeno 3 volte l’anno e dai dati di monitoraggio rilevati dal 2000 ad oggi non sono mai stati registrati superamenti dei limiti emissivi; in poche parole un impianto moderno, ben gestito e assolutamente “a norma di legge”, che non ha mai registrato incidenti rilevanti e particolari criticità.

Ciò nonostante la percezione di rischio da parte delle comunità locali, unitamente alla conoscenza delle alternative all’incenerimento e della pericolosità di esposizione a determinati inquinanti anche a basse dosi, ha indotto a procedere a questo studio, nell’ambito di un progetto di valutazione partecipata da parte dei cittadini sugli impatti sanitari, ambientali e socio-economici del trattamento dei rifiuti urbani.

Venendo allo studio, esso ha interessato un’area di circa 12 chilometri quadrati, tra i comuni di Arezzo e Civitella in Val di Chiana, che presenta diverse fonti di inquinamento oltre all’inceneritore, in particolare alcune industrie (una di recupero e raffinazione di metalli preziosi e un’altra che costruisce pavimentazioni stradali e aeroportuali) e l’autostrada; coi dati anagrafici comunali, è stata ricostruita la coorte della popolazione residente in zona dal 2001 al 2010 considerando anche i movimenti migratori in entrata e uscita dall’area, i movimenti all’interno dell’area, nonché tutte le nascite e i decessi avvenuti; in pratica di ogni persona sono stati registrati i dati riguardanti sesso, età, condizione economica e, in base al loro indirizzo, l’esposizione agli inquinanti emessi dall’inceneritore, dagli altri impianti industriali e dall’autostrada, calcolata in base a modelli matematici di dispersione degli stessi; ogni individuo quindi ha un profilo di esposizione ad inquinanti per queste tre cause che può appartenere a 3 classi, basso, medio ed alto; la seguente tabella (cliccare sull’immagine per ingrandirla) dà un’idea precisa della profilazione descritta:

Questi dati sono quindi stati confrontati con quelli di morte e di ricovero derivanti dai registri ASL di Arezzo (Registro di Mortalità e schede di dimissione ospedaliera); una cosa importantissima da tenere presente è che essendo l’inceneritore attivo dal 2000 non sono stati considerati i ricoveri e i decessi per cause tumorali che hanno periodi di latenza molto lunghi, come ci ha spiegato il Prof. Biggeri durante la serata del 22 gennaio; l’analisi è quindi stata ristretta alle malattie cardiovascolari, respiratorie, ischemiche, dell’apparato digerente e urinario e solo a due tipi di tumore a più breve latenza cioè le leucemie e il linfoma Non-Hodgkin; il confronto in termini statistici è stato fatto usando una regressione multivariata, in questo caso usando il modello di Cox che è quello generalmente utilizzato nelle analisi della sopravvivenza; si è quindi stimato il rischio nelle classi ad alta e media esposizione agli inquinanti da inceneritore rispetto a quello della classe a bassa esposizione, controllando per gli altri fattori di rischio (età, condizione economica, esposizione ad altre fonti emissive); è molto importante capire quest’ultimo concetto, ovvero che il rischio calcolato è già depurato da quello derivante dagli altri fattori e quindi rappresenta esattamente il rischio specifico legato alle emissioni da inceneritore; questo per venire incontro alle solite obiezioni del tipo “ma le malattie sono dovute ad altre cose, al traffico, a altre industrie ecc”; l’indicatore di rischio di ogni classe è denominato Hazard Ratio (HR) quindi l’indicatore di associazione di rischio legata all’inceneritore è il rapporto degli HR delle classi a alta e media esposizione rispetto a quello della classe a bassa esposizione; un rapporto superiore a 1 significa quindi “maggior rischio”; nelle tabelle sotto abbiamo i risultati sia per i ricoveri che per la mortalità (cliccare sulle immagini per ingrandirle):

In sintesi:

  1. Per quanto riguarda i ricoveri, si ha un eccesso di rischio del 18% per le malattie cardiovascolari per i soggetti di entrambi i sessi della classe ad alta esposizione, più alto per gli uomini (+23%) rispetto alle donne (+12%); per quelle respiratorie acute del 15% per le donne ad alta esposizione; per quelle urinarie del 36% per ambo i sessi della classe ad alta esposizione;
  2. Per quanto riguarda la mortalità, si ha un eccesso di rischio del 13% per la mortalità generale degli uomini, del 20% per le malattie cardiovascolari negli uomini, del 43% per quelle ischemiche sempre negli uomini mentre le donne risultano più a rischio su quelle respiratorie (+65%) e respiratorie acute (+154%); si segnalano forti eccessi anche per le leucemie, seppure la precisione di queste stime risulti statisticamente meno significativa a causa del basso numero di casi totali di questo tipo di malattia.

Quindi nonostante l’inceneritore di San Zeno adotti le BAT, non abbia mai fatto registrare sforamenti dei limiti, sia ben gestito e tutto sommato di modeste dimensioni e capacità di incenerimento, i rischi sanitari specifici ad esso legato sono tutt’altro che trascurabili; prova ne sia il fatto che lo studio presentato, ha portato il Comune di Arezzo alla decisione di non procedere al prospettato raddoppio della capacità dell’inceneritore, ma di basare il nuovo piano dei rifiuti su una raccolta differenziata spinta fino al 70%, ennesima prova di come le due cose non siano affatto complementari come si vorrebbe spesso dare a intendere, ma alternative.

Lo abbiamo già detto molte volte ma non ci stancheremo mai di ripeterlo: il rispetto delle norme di legge e perfino una buona gestione di questi impianti, non sono sufficienti a garantire la salute delle persone che vivono a contatto con essi per moltissimi motivi, tra i quali ricordiamo ancora una volta:

  1. I limiti di legge sono esclusivamente limiti di natura tecnica, ovvero fissano delle soglie raggiungibili con le migliori tecnologie disponibili a costi sostenibili per le aziende, ma non sono per loro natura dei limiti di salvaguardia della salute;
  2. Non ci sono soglie al di sotto delle quali la salute è tutelata in particolare per quanto riguarda l’ozono e il particolato fine PM 2.5 (a maggior ragione per quello ultrafine, il PM 0.1) come avevamo già spiegato in un nostro precedente articolo;
  3. Riguardo al particolato fine inoltre l’efficienza dei filtri è limitata al massimo solo a una parte del PM 2.5 ed è nulla per quanto riguarda quello ultrafine;
  4. Particolato, diossine e altri inquinanti si formano anche fuori dal camino per condensazione (particolato secondario)  e questi non sono ovviamente misurati ai fini dei controlli di legge né possono essere evitati in alcun modo;
  5. I limiti di concentrazione delle diossine per metro cubo di fumo emesso (attualmente 0,1 Ng/mc) hanno poco senso in quanto la diossina non è un inquinante dell’aria ma dei terreni e da qui passa agli alimenti e all’uomo, quindi ciò che conta è la quantità totale emessa, che dipende anche dal volume di fumi molto più elevato nei moderni inceneritori, e ancor di più quella che si deposita al suolo (per avere un riferimento sulle diossine si può far riferimento al documento redatto dal prof. Federico Valerio disponibile qui).

Speriamo che le nostre classi dirigenti facciano tesoro di queste informazioni e si dimostrino sagge come hanno dimostrato di essere quelle aretine in questo caso.

 

 

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