Incontro pubblico: Le Alpi Apuane di domani

Ci rincresce non poter essere fisicamente presenti a questo importante incontro, ma purtroppo una serie di impedimenti di carattere personale ci hanno impossibilitato a partecipare. Intendiamo comunque manifestare tutto il nostro apprezzamento per l’organizzazione di questa occasione di confronto e di approfondimento su temi che da sempre seguiamo con interesse.

In quest’ottica inviamo un nostro breve contributo, con la speranza che possa essere occasione di riflessione e dibattito.

Quanto sta avvenendo nel comprensorio del Monte Altissimo non è solamente un’offesa all’ambiente, già martoriato, delle Alpi Apuane: è un affronto al senso civico di una comunità, una vile concessione ai più biechi interessi privati e, infine, uno stupro – a cui purtroppo non siamo nuovi – della nostra Costituzione.

Non si può a questo proposito non citare la recente modifica all’art. 9 che prevede appunto la tutela dell’ambiente e degli ecosistemi “anche nell’interesse delle future generazioni”, e il sempre poco considerato art. 41 che prevede che l’iniziativa economica privata sia libera, ma che non possa svolgersi “in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. A nostro avviso quanto sta avvenendo viola entrambi questi articoli.

Manifestiamo quindi tutto il nostro appoggio alle comunità locali ed a tutti coloro che, singolarmente o organizzati in gruppi ed associazioni, stanno combattendo questa battaglia per impedire che un’intera montagna – precedente alquanto imbarazzante – possa diventare proprietà privata.

Infine vogliamo manifestare tutto il nostro disappunto, per la recente proposta avanzata dal Gruppo “Salviamo le Apuane”, come esposta pubblicamente in occasione di una recente iniziativa che ha avuto luogo in Palazzo Ducale a Massa. Riteniamo quella proposta assolutamente irricevibile.

Il solo principio di distinguere le Apuane in due, definendo il comparto di Carrara da un lato come quello ormai “compromesso in modo praticamente irreversibile” e dall’altro come quello con “il numero più alto di cavatori”, non fa che perpetrare il dualismo insanabile tra ambiente e lavoro cui tristemente siamo abituati ormai da decenni e che ha prodotto l’utilizzo dell’arma volgare del ricatto occupazionale a ogni piè sospinto.

Ugualmente irricevibile la proposta di valorizzare la lavorazione del marmo estratto a Carrara nei comuni “fuori Carrara” dove le cave verrebbero avviate a chiusura, per mantenere intatti i livelli occupazionali complessivi del settore. Ciò significherebbe nei fatti un aumento abnorme degli spostamenti su gomma dei blocchi di marmo. Per caso si pensa di estrarli in Versilia e lavorarli in Garfagnana? Idea davvero geniale che fa il paio con la rinnovata proposta di un nuovo traforo sotto le Apuane che tradisce in questo modo fini ben diversi dai tanto sbandierati vantaggi per i turisti. Pare che qui si pensi non tanto ai flussi turistici quanto a quelli dell’industria estrattiva, che si intende limitare nello spazio, ma non nell’entità della produzione.

Si omette in buona sostanza il ragionamento più ovvio, perché è anche quello più scomodo. Dal momento che il marmo presente nelle Alpi Apuane è una quantità finita e non infinita, è evidente che – prima o poi – tutte le cave andranno chiuse. Che sia tra una, due, o dieci generazioni non importa. Questa è la direzione inevitabile. Qualsiasi proposta che abbia a cuore l’ambiente non può che sposare il principio della decrescita: i quantitativi estratti devono progressivamente diminuire. Quanto lentamente e in che modo farlo, come tutelare l’occupazione del settore sono evidentemente questioni che devono essere ben ponderate, cosa che non può essere fatta se non coinvolgendo direttamente le comunità locali interessate. Quelle stesse che oggi sono impegnate nelle loro battaglie contro gli interessi privati. Altrimenti alla fine sembra proprio che le comunità locali che vivono nelle Apuane non le salviamo, le saltiamo. A piè pari.

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