L'(il)logica del Sole 24 Ore sul riciclo della carta

Torna alla carica il Sole 24 ore nella sua azione di grancassa mediatica verso l’incenerimento dei rifiuti industriali delle cartiere; nel nuovo articolo del 3 aprile scorso, a firma Silvia Pieraccini, il titolo bellicoso minaccia “Nuovi impianti o si ferma il riciclo”, alludendo alla difficoltà di riutilizzare la carta riciclata, specialmente quella di bassa qualità caratterizzata dalla presenza di impurità (sacchetti di carta, cellophan, parti plastiche e metalliche); pare infatti che anche la Cina non accetti più questo tipo di carta riciclata, rifiutandosi di importarla dall’Europa come aveva fatto finora; d’altro lato, le cartiere che la riutilizzano in Italia sono in grave difficoltà nello smaltimento di queste impurità, il famoso scarto di pulper.

Il problema è noto, tantopiù nel distretto cartario lucchese, e l’articolo propone anche due vie per la sua soluzione, delle quali condividiamo a pieno la prima e anzi ne suggeriamo alcune integrazioni, mentre rifiutiamo totalmente la seconda.

Per prima cosa si suggerisce di migliorare i sistemi di raccolta, attraverso una azione di educazione dei cittadini che dovrebbero imparare a effettuare una raccolta differenziata corretta e a non mischiare questi materiali: giustissimo. Aggiungiamo noi che dopo l’educazione deve venire anche la sorveglianza: chi sbaglia paga. Controlli a campione sui bidoni del porta a porta e multe a chi non effettua una raccolta corretta; perché l’educazione è importante, ma lo sono anche gli incentivi, ogni tanto si ha bisogno della cosidetta “spinta gentile” come l’ultimo nobel per l’Economia, Richard Thaler,  ha dimostrato. E’ impopolare dire questo? Pazienza, la prospettiva di avere un bell’inceneritore fumante davanti alla finestra val bene un maggior sforzo di coscienza, quando si gettano i rifiuti nel calderone.

Aggiungiamo anche che non crediamo che tutto lo sforzo debba ricadere sui cittadini privati, anche le imprese produttive dovrebbero fare la loro parte, e seguire le vie dell’economia circolare, quella vera, non quella finta degli inceneritoristi: questa via si chiama Eco-Design (vedi qui pag 5) ovvero progettare prodotti che possano essere recuperati/riparati/riciclati nella maniera più semplice possibile: es. basta con le buste miste carta/plastica, i pacchi di pasta con la finestrina trasparente in plastica e molti altri strampalati esempi di packaging misto che rendono estremamente laborioso per il comune cittadino attuare una separazione facile dei materiali.

Come ammette il Sole 24 Ore “se tutta la carta riciclata diventerà di qualità…secondo gli industriali cartari si otterrebbero due risultati…alimentare le cartiere europee….e riprendere a esportare”. Oh finalmente! Un articolo pienamente condivisibile e ragionevole…e invece no. Perché immediatamente dopo questa conclusione arriva il salto illogico: “Il presupposto di tutto questo è uno solo: costruire gli impianti per bruciare gli scarti del riciclo, cioè quei pezzetti di plastica, metallo, fibre sintetiche che inquinano la carta e che durante il processo di riciclaggio si trasformano in un fango da smaltire in discarica o negli inceneritori [lo scarto di pulper]”.

Ma come: prima si suggerisce di educare i cittadini a non mischiare questi materiali con la carta e dopo si dice che sono necessari gli impianti per bruciare questi stessi materiali che una volta educati i cittadini non dovrebbero esserci? Qual è la logica di una tale conclusione? Non una parola inoltre sul fatto che sullo scarto di pulper ci sono comunque dei progetti di impianti di riciclo non volti al “bruciare” (parolina magica secondo la quale i rifiuti “spariscono” nel fuoco purificatore, in barba al principio di conservazione della massa) ma a rifondere a freddo questi scarti per la produzione di altri materiali ad esempio i pallet, come nel progetto Life-Ecopulplast, un altro progetto di vera economia circolare finanziato dall’UE.

Dulcis in fundo, arriva la ciliegina sulla torta, ovvero la minaccia finale: niente inceneritori, niente investimenti, le cartiere se ne andranno altrove. E si fa l’esempio del gruppo Lucart, che ha aperto il 2018 con l’acquisizione del gruppo spagnolo Cel Technologies & System: in sostanza trattasi di 3 stabilimenti situati nei paesi baschi, presso Bilbao, dedicati alla produzione e trasformazione di carte tissue ecologiche riciclate e alla produzione di saponi detergenti; tutto questo viene visto dal Sole 24 Ore come una fuga di capitali dall’Italia dovuta alla mancanza del famoso impianto di incenerimento che farebbe “sparire” lo scarto di pulper.

Basterebbe leggere l’intervista rilasciata al Corriere della Sera dal CEO di Lucart, Massimo Pasquini, per avere molti dubbi su una tale conclusione: “Si tratta di un allargamento strategico per la multinazionale. Lucart possiede due stabilimenti in Francia e Ungheria, oltre ai 5 in Italia, dove è tra i leader per i prodotti professional….Non si tratta di delocalizzare: i nostri prodotti sono leggeri ma ingombranti, da qui la necessità di essere fisicamente presenti sui mercati in cui operiamo”. E’ lo stesso CEO a confermarci quindi che si tratta di un investimento con ottica strategica, finalizzata all’allargamento del mercato, cosa che del resto anche gli altri maggiori gruppi cartari della Lucchesia applicano da tempo, avendo molti stabilimenti anche all’estero. Si veda la recente notizia del nuovo stabilimento Sofidel negli Stati Uniti ad esempio.

Certo continuando poi a leggere arrivano puntuali le lamentele del CEO su “incertezza normativa e burocrazia che ci rendono difficile continuare a operare in ottica di economia circolare in Italia” e il collegamento fatto poi dal Corriere con la posizione di Assocarta sulla necessità di impianti di recupero degli scarti.

Non sappiamo se Pasquini facesse riferimento anche lui con “incertezza normativa e burocrazia” alla mancanza di impianti di incenerimento di scarto di pulper o quant’altro; notiamo sommessamente che in questo caso più che di burocrazia, si tratta di opposizione popolare a tali impianti, un’opposizione motivata da ragioni ambientali e sanitarie, come ben sappiamo; siamo ben consapevoli che i cartari abbiano un grosso problema con lo smaltimento di scarto di pulper, ma anche altrettanto convinti che pensare di risolverlo facendo un bel falò sia una pericolosa e antiscientifica illusione; le vere strade indicate dall’economia circolare sono quelle di cui abbiamo scritto sopra, cioè la prevenzione in primis e l’eventuale trattamento a freddo del residuo; altre scorciatoie portano fatalmente in fondo a un burrone.

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